sabato 5 giugno 2010

Continua l'assedio a Gaza. Nuova nave bloccata


Un'altra nave umanitaria, l'irlandese Rachel Corrie, che si dirigeva a Gaza per portare aiuti è stata intercettata e viene scortata da stamattina dalla flotta israeliana con la richiesta di fare rotta verso il porto di Ashdod e lì depositare il suo carico che, previo controllo, sarà poi distribuito agli assediati della striscia. Il primo ministro irlandese aveva provato nella notte ad ottenere il permesso dal governo israeliano per l'apertura di un corridoio che permettesse agli stessi membri dell'equipaggio - tra cui un premio nobel per la pace e altre influenti personalità del mondo politico internazionale - di raggiungere Gaza e consegnare gli aiuti direttamente alla popolazione, sempre tenendo ferma la necessità di attraccare prima in terra israeliana. Ma gli attivisti rifiutano (Rainews24). Non si può che sperare in un diverso epilogo.



A pochi giorni dalla tragedia della Freedom Flottilla, con la morte accertata di almeno 9 attivisti turchi - ma secondo gli attivisti italiani che hanno testimoniato l'accaduto un numero pari o maggiore di vittime sarebbe stato gettato a mare e per questo non ancora ritrovato - che ha sollevato critiche generalizzate sull'eccesso muscolare dell'intervento israeliano, persino da parte degli US, notoriamente morbidi in materia, il governo israeliano mostra di non essere disposto a transigere su nessuna violazione dell'assedio di Gaza.

Come fa notare brillantemente Moni Ovadia, tacciato seppur ebreo di antisemitismo (come molti altri esponenti del mondo intellettuale ebraico, i famosi "ebrei che non amano gli ebrei") un assedio non può in nessun modo essere considerato uno strumento difensivo in nome della sicurezza statale, un assedio come quello perpetrato ai danni della popolazione di Gaza è un atto di guerra che non può che provocare un'escalation della violenza.

A tutt'oggi non esiste un piano di pace di matrice israeliana, nè tantomeno una "road map" per l'istarurazione di uno stato palestinese: il governo di Israele continua a comportarsi come se i palestinesi, aggrediti, vessati, umiliati in ogni modo, prima o poi scompariranno assicurando la purezza razziale dello stato - continua Ovadia. Sottolineo il "come se" perché il riconoscimento di una strategia premeditata volta a questo obiettivo non potrebbe che essere considerata, alla luce delle dirittive Onu e dei parametri del diritto internazionale, come una politica espressamente mirata al genocidio del popolo palestinese.

Israele sembra non avere il coraggio, prima che la volontà, di riconoscere gli errori fin qui commessi e il graduale deterioramento della questione palestinese che, lungi dall'essere sanata, dopo 60 anni si ritrova peggiore che mai. L'idolatrazione della sicurezza nazionale come obiettivo da perseguire ad ogni costo e con ogni fine è stata indiscriminatamente usata da ogni schieramento politico per vincere le elezioni, salvo poi non produrre alcun risultato apprezzabile e ha anzi provocato un irrigidimento del fronte palestinese e il suo slittamento nelle mani del braccio armato di Hamas.

Eppure sono molti i moderati sia israeliani che palestinesi, all'interno come fuori dai confini dello stato, che chiedono una soluzione pacifica del conflitto e che si battono giorno dopo giorno per non essere risucchiati dalla violenza, dal pregiudizio, dal sospetto dell'altro. Una piccola comunità della Cisgiordania ha intrapreso da anni un percorso non violento di resistenza all'aumentare della pressione dei coloni: ad At-Twani la gente si batte con cortei e manifestazioni pacifiche per il diritto dei loro figli di andare a scuola senza essere aggrediti a sassate dai coloni ebrei che incontrano lungo il loro cammino di svariati km. I volontari italiani di Operazione Colomba li sostengono da anni con la loro costante presenza, 365 giorni all'anno.

Rifiutare persino il diritto agli aiuti umanitari, anche questo sancito dall'Onu, è un atto di deliberata soppressione dei diritti umani di una popolazione, oltreché di ogni spazio di dialogo: Israele oggi, prima che la Palestina, è ad un vicolo cieco.

giovedì 3 giugno 2010

Quanto costa un i-pad? A molti la vita.


E questa volta tocca alla Apple.

Ipod bruciati per protesta dagli attivisti della Foxconn


Anche il più innovativo tra i giganti dell'informatica si ritrova sotto i riflettori del biasimo internazionale per le condizioni di lavoro a cui sono costretti gli operai che producono i suoi gioiellini tecnologici. Come la stragrande maggioranza degli altri brand globali, la Apple appalta la produzione a delle aziende asiatiche, in particolare alla Foxconn Technology Group, un'impresa di Taiwan situata a Shenzhen, nel sud della Cina.

La logica dell'appalto fa sì che le multinazionali premano costantemente per riduzione dei tempi di consegna e prezzi più bassi, sia per ottenere utili maggiori che per venire incontro ai capricci del mercato occidentale, e che le aziende-contractor scarichino i costi umani dell'accelerazione ed economizzazione dei processi produttivi sui lavoratori. Questi ultimi sono nella stragrande maggioranza dei casi giovani o giovanissimi immigrati provenienti dalle aree rurali della Cina che affluiscono nei nuovi grandi poli industriali per ritrovarsi a vivere in capannoni all'interno delle fabbriche, privi del supporto della famiglia e, in più, per pochi spiccioli al giorno.

Nell'ultimo mese ben 10 ragazzi tra i 18 e i 24 anni si sono suicidati (altri 3 sono sopravvissuti) gettandosi dal tetto della fabbrica per mettere fine ai turni di lavoro massacranti di oltre 12 ore in ambienti non ventilati e surriscaldati, durante i quali c'è il divieto assoluto di parlare e con difficoltà si ottiene il permesso di recarsi in bagno. Non è difficile immaginare come in queste condizioni di superaffaticamento e senza punti di riferimento, l'esaurimento nervoso sia quasi inevitabile e possa condurre ad una morte prematura.

Se le responsabilità dirette sono da attribuire alla Foxconn, come gli stessi sindacati cinesi e le ong operanti sul territorio sostengono, è la Apple (e la dinamica così di moda dell'outsourcing) la vera responsabile morale della vicenda, è la Apple che finora ha semplicemente deciso di non vedere. Il che dimostrerebbe ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, che l'imperativo del profitto ad ogni costo è incompatibile con comportamenti etici (anzi, legali in questo caso) e le aziende si decidono ad intervenire solo una volta scoperte. L'1/06 la Apple ha annunciato che si occuperà della questione, probabilemente collaborando all'aumento del salario degli operai della Foxconn del 30%, comunque noccioline rispetto a quanto guadagna in un giorno con l'ipad. E risarcimenti alle famiglie? E' chiaro che una causa penale non è neanche immaginabile.

Quanto accaduto rivela però anche e soprattutto che l'impegno a portare a galla le storture del sistema economico e a dare visibilità ai crimini perpetrati dalle aziende è l'unica arma possibile per ottenere cambiamenti e ed è un'arma in mano ad ognuno di noi consumatori. Se le sole critiche hanno mietuto risultati perssoché immediati, lanciare un boicottaggio dei prodotti Apple a livello internazionale costringerebbe l'azienda ad assumere un atteggiamento più responsabile nei confronti di chi materialmente assicura la sua fortuna. Insomma, boicottare per educare.

ps: firmate l'appello su

Siamo governati da idioti, da criminali o da entrambi?


Eh, sì, quando la crisi batte forte, si perdono posti di lavoro, la disoccupazione giovanile tocca la quota record del 30% e l'euro è in bilico, i nostri astuti governanti hanno trovato un nuovo geniale modo per risolvere le cose: una bella manovrona finanziaria a sorpresa.

Dopo mesi e mesi di accuse di disfattismo e stoiche propensioni all'ottimismo, rispunta dal nulla (ma dove sarà mai finito nel frattempo?) lo spettro del debito pubblico e un'ennesima manovra correttiva della spesa pubblica ruba la scena alla già pesante finanziaria 2009-2011 che aveva tagliuzzato qua e là oltre una trentina di miliardi alla scuola, la sanità, la ricerca (ricorderete la geniale advocacy della Gelmini sul maestro unico, la necessità del solo gessetto bianco, etc.)

E fin qui niente di nuovo o di strano. Neanche le menzogne, a cui siamo abituati. Neanche la manovra a sorpresa: condizioni eccezionali e inaspettate (e anche qui ci sarebbe da complimentarsi con il fior fiore di analisti economici di cui si avvale il governo, che non sono stati capaci di prevedere la portata della crisi finanziaria prima né quella dell'euro dopo, vabbé) impongono a tutt'Europa un ridimensionamento e anzi, i principali paesi europei cedono il passo a pesanti ritocchi di budget. In un estremo gesto di ascetismo (no, non chiamatelo populismo) i nostri arrivano all'ardito taglio del 10% dei costi del governo (per i parlamentari ben altra storia: saranno gli agnelli a decidere quand'è pasqua).

Quello che come al solito connota l'Italia come il più originale di tutti i paesi della zona euro (se esistesse un premio internazionale per le trovate statali più assurde e inaspettate noi lo avremmo vinto consecutivamente negli ultimi vent'anni) è che al contrario di TUTTi gli altri paesi la nostra manovra attribuisce l'eroico privilegio di salvare il paese dalla catastrofe Grecia alla sola classe degli impiegati pubblici, rei a quanto pare di non aver pagato i costi della crisi finanziaria. Le geniali meningi tremontiane si sono spremute fino all'orgasmo cerebrale per trovare i soldini necessari a ridurre il debito senza scontentare gli industriali italiani, molti dei quali vorrebbero già vedere Berlusconi morto e sepolto nel suo bel mausoleo ad Arcore, dopo gli inutili spiccioli (in alcuni casi esauritisi in un giorno) devoluti come incentivi agli acquisti e la latitanza in merito a un provvedimento serio per rilanciare l'economia e tagliare il costo del lavoro. A che conclusione è arrivato il nostro Tremonti allora?


Ma diamo bene il fardello agli unici che 1) non possono schivarlo evadendo in qualche modo 2) non si possono difendere: pubblici, pensionati ed invalidi! E' geniale!! D'altronde, gli industriali hanno già bevuto il calice amaro della crisi, quando sono stati loro malgrado costretti a lincenziare quei 300 mila disgraziati nel solo 2009 per cui non esiste alcun ammortizzatore sociale (apparte mamma e papà, chiaro), e sì, atroce sofferenza la loro, nel separarsi dai loro lavoratori atipici nel momento in cui tanto per cambiare salari e bonus di manager e shareholder salivano (come dimostra l'eclatante caso della fiat).

In fondo poi, cosa vuoi che cambi alla vita delle persone che guadagnano 1200 euro non avere gli aumenti contrattuali per 3 anni o lo scatto di carriera? ma assolutamente nulla! non si potevano permettere niente neanche prima, quindi, tanto vale...Venendo agli invalidi, quale modo migliore di combattere le truffe sulle false invalidità che alzando il limite pensionabile all'85% ? ...e zack! Dal mese prossimo, perdi il braccio destro in un incidente? Sorry, non ci sono neanche quei miserabili 270 euro di pensione per te, torna da mamma e papà e vedi se è rimasto qualcosa della loro...Ma d'altronde, quante difficoltà inutili, ottimismo ci vuole! per esempio, quanti lavori si possono trovare senza un braccio? Un'infinità! certo non si può guidare un veicolo, scaricare o trasportare della merce, ci vuole un'ora per battere una mail, sarà un pò più difficile scopare il pavimento dell'ufficio, ma via! è pieno di lavori per invalidi, soprattutto in Italia, dove non si trovano i lavori per i normodotati..

Ma la mostruosità delle mostruosità è avere il coraggio di dire che la manovra opera tagli strutturali quando invece incide a pioggia esclusivamente su redditi e pensioni che sono già bassi di loro (mentre a liberi professionisti e imprenditori non si chiede un centesimo) e sugli enti locali, sempre genialmente attendendosi che questi come per magia (e senza istituire controlli ministeriali a riguardo) ridurranno gli sprechi, elaboreranno da soli le direttive virtuose per migliorare la gestione della cosa pubblica (in effetti, farebbero meglio a cominciare visto che dall'alto non vengono indicazioni in tale direzione), insomma ricorranno agli strumenti più complessi e strutturali invece di tagliare stipendi e servizi, licenziare i precari, aumentare le imposte comunali e provinciali e regionali.

E mentre sorseggiamo l'ennesimo cocktail di pressapochismo e speranza, spero vi siate goduti la bella parata militare del 2/06. Hum, davvero irrinunciabile direi. Cosa esprime meglio lo spirito repubblicano e i valori della democrazia se non una sfilata di militari in alta uniforme che ci è costata almeno 10 milioni di euro (secondo i calcoli dell'ong Sbilanciamoci!)? Non sarebbe certo bastato evitarci la manovra, ma che razza di scelta idiota è in un momento in cui si grida all'austerity della spesa pubblica? La risposta rimanda ahimé necessariamente al titolo.


venerdì 28 maggio 2010

I giovani italiani emigrano in Bulgaria. Anche.



Bell'atmosfera, bella musica, indie rock, jazz, elettro-pop sperimentale...
Tanti ragazzi chiaramente, di come non se ne vedono di solito in giro per le strade del centro: i cosiddetti "alternativi" che s'ispirano alle più diverse sotto-culture di matrice americana o inglese. In questa marea ondeggiante sul prato davanti allo stage, chi ti vado a incontrare? Due ragazzi italiani che vivono e lavorano qui stabilmente, non come me che sono una nomade dei programmi internazionali di educazione superiore.

Alessandro. 30 anni, lavora in un'agenzia che si occupa di comunicazione finanziaria, guadagna 1000 euro al mese, che in Italia è ancora lo stipendio medio di molti giovani precari ma qui sono una piccola fortuna che ti permette di avere un bell'appartamento in centro, mettere da parte qualche soldo e non farti mancare la giusta dose di divertimento. Era venuto la prima volta in Bulgaria con il progetto Erasmus e dopo una tesi sulla sociologia dei consumi nel periodo di transizione dei paesi ex-URSS verso il libero mercato e l'inutile conquista della dignità di stampa che non gli è però valsa a continuare gli studi con un dottorato a Torino, ha deciso di tornare a Sofia dove vive ormai da 4 anni e progetta di sposarsi in estate.

Roberta. 27 anni, lavora nel customer service di un'azienda che offre servizi per l'HP in Italia. Guadagna 700 euro, non una grande somma, ma ampiamente al di sopra del salario medio bulgaro che è sui 300 euro al mese. Anche lei, dopo gli studi all'Orientale di Napoli, una borsa di studio Mae-Crui che le ha permesso di lavorare e studiare in Corea del Sud per 4 anni e di laurearsi in Cinema con una "sottovalutata" tesi sul cinema nord-coreano che non le è valsa neanche un punto in sede di discussione in Italia (pur partendo da punteggio di 108!) si è ritrovata quasi per caso, grazie al consiglio di un'amica, qui in Bulgaria dove in effetti pare ci sia una certa richiesta di plurilingue.

Non posso dire di essere rimasta scioccata dal racconto della totale mancanza di opportunità SERIE che Alessandro e Roberta si sono trovati ad affrontare in Italia. In effetti, è qualcosa che conosco molto bene, avendo provato a cercare un lavoro decente per un anno e mezzo senza trovare altro che le porte aperte (per un contratto di un mese, non esageriamo!) del call center della Vodafone...Fino a questo momento, ho continuato però a pensare che IO fossi vittima di un'anomalia, di un incidente di percorso, o peggio, che fosse colpa mia se non trovavo lavoro, perché il mio background accademico e professionale non erano adeguati all'esigente mondo del lavoro. In fondo, un 110 e lode in lettere non è un capitale da sfruttare, niente dignità di stampa per la mia tesi in sociolinguistica, figuriamoci aver lavorato un anno per un'ong in Croazia e cavarmela bene con inglese e francese. E no, il mercato del lavoro non se ne fa nulla di operatori culturali o della comunicazione; ingegneri, medici, avvocati è questo il ritornello che mi sento ripetere più o meno dalla nascita.

Eppure oggi in Italia faticano anche loro. Fatichiamo tutti, bravi e meno bravi, a trovare la nostra strada e molti - sempre di più - se ne vanno. Anche un paese come la Bulgaria sembra offrire di più, e non solo agli stranieri: tutti i ragazzi bulgari sotto i 25 anni che ho conosciuto qui lavorano, e alcuni con ottime posizioni che, se non propriamente remunerative, danno possibilità di carriera. Maja a 24 anni è già PR coordinator presso il canale televisivo bulgaro Nova e controlla uno staff di 8 persone; Violeta a 26 anni è senior researcher e project manager presso un istituto di ricerche sociologiche. Trasportando questi ruoli in Italia, sembra impensabile arrivarci prima della trentina (per tenermi larga).

Sembra solo a me assurdo? C'è qualcosa di malato e asfittico nel nostro paese che non permette alle forze intellettuali migliori, quelle dei giovani sotto i trent'anni , di essere impiegate laddove servirebbe il loro apporto costruttivo e non a rispondere per 8 ore ad un telefono?

In Italia la gente si ammazza per i propri diritti economici


Nel gennaio del '69 Jan Palach, uno studente di filosofia 21enne, si uccideva dandosi fuoco davanti a una folla esterefatta per comunicare con tutta la forza della disperazione la sua irriducibile integrità di fronte all'inumanità della dittatura sovietica. Come altri prima e dopo di lui è diventato un simbolo potente dell'immaginario democratico - e dei mezzi di propaganda occidentale - che hanno favorito la caduta del muro, incarnando l'ideale di libertà e di lotta senza condizioni per i propri diritti civili e politici, quei diritti che - si sosteneva a ragione - venivano spietatamente soppressi nei paesi del blocco.

Vent'anni dopo il crollo del muro, mentre si susseguono le operazioni di restyling sulle facciate democratiche dei nostri bei paesi, occidentali e progressisti, Mariarca Terracciano, un'infermiera italiana in un ospedale di Napoli, decide di salassarsi 150 ml di sangue al giorno in segno di protesta per il mancato pagamento dello stipendio, in ritardo da mesi. Mette il video della protesta su Youtube per dare spiegazione del suo gesto disperato e ottenere visibilità.


Ora, questa donna, moglie e madre di due bambini, dopo 15 giorni di continui salassi è morta e solo allora i media hanno gridato allo scandalo, ma non quello che una persona nel pieno delle sue facoltà mentali potrebbe aspettarsi: "protesta shock" titolano i principali giornali del paese, lo scandalo è l'autolesionistica modalità di protesta, l'ipocrisia del video postato su youtube, il macabro esibizionismo, e così via. Come al solito, si guarda al dito e non alla luna.

Le autorità competenti, l'Asl della provincia di Napoli, il Ministero tacciono, i politici del circondario non si fanno vedere, neanche a parlarne. Questa non è una questione politica, giusto? Una donna si è letteralmente svenata perché da mesi le negano l'unica fonte di sostentamento con cui mandare avanti la famiglia, con un coraggiosissimo gesto di folle disperazione grida al mondo la necessità del suo diritto a percepire lo stipendio per le prestazioni fornite, ma nulla, nessuno sente la benché minima responsabilità per quanto successo.

Il paragone col gesto di Jan Palach mi sembra più che appropriato, anche se spero non trovi altrettanti emuli. Che razza di paese è diventato l'Italia? Un paese in cui la democrazia è sinonimo del televoto per il programma preferito in tv, un paese in cui i giovani non hanno prospettive e sono nuovamente costretti ad emigrare, un paese in cui i diritti economici e sociali degli individui, sacri ed inviolabili al pari di quelli politici e sociali che venivano tanto sbandierati ai tempi dell'URSS, sono sistematicamente calpestati sulla pelle della generazione dei precari, dei lavoratori sovra-qualificati e sotto pagati, degli operai che sono finiti perché la nostra è una società che non produce più nulla, dei pensionati alla fame, dei lavoratori a progetto, delle vittime del mercato libero degli affitti che erode la metà di un già misero salario.

Oggi la gente in Italia soffre e arriva ad uccidersi in nome dei propri diritti economici, né più né meno di come in altri parti del mondo, sotto regimi più o meno spietati, centinaia di uomini e donne si sono immolati in nome delle libertà politiche. La povertà indotta nel ceto medio italiano dalle scelte sconsiderate della politica e da un clientelismo mai debellato è a tutti gli effetti la più grave violazione dei diritti umani degli italiani negli ultimi 50 anni ed è ora di agire.

Ciao Mariarca.

lunedì 29 marzo 2010

Womb outsourcing... what's coming next?


(or The US: if there hadn't been them, we shouldn't have invented them anyway..)


A US company is settling a new lucrative business: outsourcing pregnancies from US and other perspective western countries to India. US hospital stays to give birth are so expensive that it seemed pretty much a good business opportunity to have ready-made children on the cheap side of the world, especially convenient for those that can't have children and are thinking of a surrogate mother: US mothers' surrogation expenses normally include not only hospital treatments, but also the mother's remuneration and are still not affordable for many mums-to-be.

In India, impoverished jobless women are getting the chance to earn good money and be respected by their families by renting their wombs to US and UK women that provide their own egg, their husbands' or donated sperms and get a ready-made Caucasian baby from them.
With all the respect for unfertile women and men who have been long wishing to have a baby, there is something sharply disturbing about this new surrogation.



Already multinationals didn't have any barriers (or had very few) to exploit the global leverage of underdeveloped countries to move there cost-effective factories, acquiring raw materials, setting monocultures, etc.; now, in the neoliberal phases 2, even normal individuals from our hemisphere enjoy the opportunity to earn something from this long-lasting unbalanced North-South relationship. Actually, it worked also before, when hour houses got full of Polish or Philippine nannies forced to migrate; but the birth outsourcing business sounds completely different stuff.

But why not, after all? Many Indian women are poor, culturally educated to give birth to the largest possible number of children, living in small villages with no job opportunity: by renting their wombs they manage to buy a house or send their children to school.
On the other side, many US women can't afford the price currently needed to cover the whole surrogate mother affair, which still is forbidden in most European countries, where the vitro fertilization practices are strictly regulated. Are economic considerations enough to allow the practice and to consider it as mutually beneficial?

Not in my opinion. Just imagine if the practice goes on: what would happen in a few years when western women busy with their careers and actually more and more stressed by their bosses not to benefit of maternity leaves (which in Italy is already a common thing whit temporary or atypical job contracts) will increasingly avail themselves of the practice? Doesn't sound like a barbarian form of exploitation getting poor women to give birth to our children cause we might not feel like, cause it might not be the right time, cause "I can't get a part-time right now"?

More, it sounds like the extreme turning point of the specialization trend that has been shaping our global society in the past 50 years. If any economic initiative must be cost-effective and take advantage of the local features where it could be best performed, why not doing the same with human beings'lives, that stay at the very core of the economy? In a 1984-like scenario, human beings' functions, even the basic animal ones, will be divided according to birthplace and social position: western offspring will study and access the higher intellectual and managerial positions, Asian human resources, well educated but cheap, will be used to produce high-tech, give birth to our children, take care of them and our houses; for African and middle-east low income people is not so odd to imagine a ghastly organ business future, with people literally selling parts of their bodies to western clients (something like that is already happening in Iran where the government promoted a liberal kidneys market and people are allowed to sell their kidneys to the best offerer).

International agreements are needed to regulate the matter and to reaffirm the untouchable dignity of human beings that, as Kant perfectly said more than 3 centuries ago, can never be means of other human beings' ends (nor can be used as "rented properties") but must be ends themselves.

CSR or revolution?


CSR (Corporate Social Responsibility) is the set of theories and practices increasingly produced in the last twenty years to enable companies to manage their role in the society. The public arena and the markets, nowadays networked in a whole tangled conversation, as the Cluetrain Manifesto warned us more than ten years ago (http://www.cluetrain.com/) are asking more to companies and what most of them have been answering is CSR policies.

These policies should allow the company to find its own decent place inside communities by running social and community programs, involving employees in voluntary activities, sponsoring educational initiatives, modifying their internal procedures and practices in compliance with legal or ethical requirements. Now, everybody understands the the true issue for companies is how to keep on attracting market shares that have become volatile, connected and much more aware of what is going on in the real world. Nothing is secret nowadays. A company bad performance or an unethical behavior is easily caught and brought up in the Internet public justice tribunal. None is anymore safe, at any level, even if managers are still earning fortunes.

Of course, the hope is that a crisis event would be strongly mitigated by an irony reputation, just the one that CSR is called to provide. Even if CSR is effectively working in providing pupils scholarships, minimizing environmental impact, sponsoring sport competitions and cultural events, the question is not if CSR can be trustworthy for consumers and citizens' wellbeing but, above all, if it is ethical or politically correct to accept money and services in exchange for the usual exploitation and disruption companies are bringing about, especially when they are more and more moving away from western countries to the south of the world.
Doesn't exist the risk that while we get the "social" smiling face of the company, someone else is actually getting its (our) wastes and the impoverishment of environment, health, ecetc.?

Moreover, in some evident cases CSR and charities are the means by which powerful organisations and their CEO clean up their bad conscience, so allowing themselves to keep on with their business (think about the well known Soros Foundation, or check out Mazzotta's documentary OIL http://vids.myspace.com/index.cfmfuseaction=vids.individual&videoid=50469345

The suggestion is that we should be not only mistrustful but openly hostile to whatever corporate means prevent us from clearly denouncing the ruin that the neoliberal economy and the big corporations are causing, no matter how friendly a new means as CSR is, and the concrete improvements it could actually provide or trigger within disadvantaged communities.
Of course, we need to recognize that the issue can't have the same weight for a young university researcher in Boston and for a workman's son in Ukraine, where getting a company support can really make the difference i the labor market (and actually it works a little bit everywhere).
What about CSR practitioners? Do they think they're helping the world get better or they look at CSR just as one of the awful boring office tasks they have to accomplish?

Personally, I like pretty practical approaches: can we keep on demonizing big companies while dreaming of a bloodless revolution or a natural catastrophe that should cleanse up our world from the misery of capitalism? If it was possible to get rid of all of them, could we get by without companies?
If a new social sensitivity and the Internet non hierarchical culture are finally penetrating the company world making it more human and democratic, this is an historical achievement that could raise up new unpredictable scenarios and even if companies' primary goal is still money, the good news is that it is no longer the only one. Acting the fiction becomes reality. Our global society can just be improved by a networked collective effort towards democratization and social justice at all levels, included corporate level: managers must be not only responsible in front of the public but reachable, as much as politicians should be. I personally don't dream of a society made just of public institutions or NGOs: the true goal is to open and democratize companies and CSR could just work as a trojan horse.